TRIBUNALE ORDINARIO DI GENOVA 
                          I sezione civile 
 
    Il giudice unico, sciogliendo fuori udienza la riserva assunta in
data 20 ottobre del 2019 nel procedimento in epigrafe, considerate le
istanze  del   difensore   dell'attrice,   avv.   Nerio   Marino,   e
dell'Avvocatura di Stato, costituita per il convenuto Ministero; 
    Rilevato che l'attrice,  avv.  Rosanna  Ferrari,  ha  esposto  in
citazione: 
        di essere giudice onorario del Tribunale di Genova  dall'anno
2005 (GOT, poi GOP); 
        di essere assegnataria del  ruolo  espropriazione  mobiliari,
nel contesto della sezione competente, la VII di questo tribunale; 
        di tener  da  tempo  udienza  nella  materia  suddetta,  ogni
lunedi',  mercoledi'  e  venerdi'  della  settimana  e  di   svolgere
altresi', pur in diversi contesti tabellari, ogni  compito  del  G.E.
nella materia, compresi numerosi atti  da  svolgersi  fuori  udienza,
essendo  stata  la  Sezione  VII/fallimentare  quasi   sempre   sotto
organico, e comunque gravata per lungo tempo anche dalla assegnazione
della materia delle successioni e divisioni,  risultando  pertanto  i
giudici professionali impiegati, in ambito esecutivo,  esclusivamente
nel settore dell'espropriazione immobiliare; 
        di svolgere sistematicamente attivita'  fuori  udienza,  come
studio,  fissazione  ricorsi,  esame  istanze,   resa   provvedimenti
inaudita altera parte, autorizzazioni, esami  ricorsi  dell'ufficiale
giudiziario, verifica somme, provvedimenti  relativi  ai  custodi  ed
agli stimatori, alle merci deperibili,  ed  ancora  vendite  disposte
senza udienza, siccome di beni stimati di valore  inferiore  ad  euro
20.000, ed altro ancora; 
        di  aver  lavorato,  in  concreto,  allo  scopo  di  svolgere
l'attivita' «fuori udienza» suddetta almeno quattro giornate al  mese
oltre  le  cinque  ore,  il  che   avrebbe   dovuto   comportare   il
riconoscimento di quattro doppie indennita' mensili per ogni anno; 
        che l'art. 3-bis del decreto-legge del  2  ottobre  2008,  n.
151, introdotto con legge di conversione n. 186  del  novembre  2008,
dispone: 
          ai commi 1 ed 1-bis, che ai giudici  onorari  di  tribunale
spetti una indennita' per ogni udienza tenuta inferiore  alle  cinque
ore di euro 98 lorde, ed una ulteriore indennita' della stessa misura
ove il complessivo impegno lavorativo superi le cinque ore; 
          per  contro,  ai  successivi  commi  2  e  2-bis,  che   ai
viceprocuratori onorari spetta una indennita' giornaliere di euro  98
sia per la partecipazione ad una o piu' udienze,  in  relazioni  alle
quali sia loro conferita delega, sia per ogni altra attivita' diversa
da quella di cui sopra e delegatile a norma delle vigenti diposizioni
di legge; 
          infine, al comma 2-ter, che la  durata  delle  udienze  sia
tratta dai verbali,  mentre  l'impegno  fuori  udienza  possa  essere
rilevato direttamente del procuratore della Repubblica; 
        che  conseguentemente,  in  contestata   applicazione   della
disciplina di cui sopra, si e' formata una  prassi  di  remunerazione
dell'attivita' dei giudici onorari, applicata anche nel suo caso, per
cui,  mentre  l'attivita'  «fuori  udienza»  dei   vice   procuratori
(redazione istanze di emissione di decreti penali, redazione capi  di
imputazione, richieste di  archiviazione  etc.)  concorre  alla  loro
remunerazione, quella del giudice onorario, fosse anche la  redazione
di sentenze, non  viene  remunerata  essendo  di  fatto  reputata  un
accessorio della prima; 
        che    tale    prassi    potrebbe    essere    superata    da
un'interpretazione   analogica,    data    dal    tribunale    adito,
interpretazione in cui l'esigenza auto evidente (in tesi attorea)  di
retribuire il  lavoro  fuori  udienza  del  giudice  onorario,  venga
fronteggiata con una semplice «analogia» con la disciplina  del  VPO,
semplicemente  sostituendo  la  attestazione  del  procuratore  della
Repubblica con quella del presidente del tribunale; 
        che,  nel  concreto,  dalla   suddetta   interpretazione   le
deriverebbe il raddoppio della indennita' da percepirsi  per  quattro
udienze mensili fin dalla assunzione dell'incarico; 
        che  tale  conteggio  sarebbe  gia'   riduttivo   posto   che
l'attivita'  fuori  udienza  si  considera  come  svolta  in   giorni
concentrati e con gia' distribuita in modo da valorizzarne al massimo
la capacita' di integrazione del compenso; 
        che, in ordine al diritto come sopra detto,  la  prescrizione
era stata interrotta dalla nota 4.12.13 al presidente del  tribunale,
espressiva  della  pretesa,  risultando  quindi  prescritti  solo   i
compensi per il periodo antecedente al 4 dicembre 2008. 
    Esposto quanto sopra richiedeva che il tribunale le liquidasse in
via giurisdizionale quanto gia' negatole in via amministrativa ovvero
il corrispondente della doppia indennita' per quattro giorni al  mese
dal dicembre del 2018 al giorno della domanda. 
    In via subordinata,  ove  ritenuto  insormontabile  il  testo  di
legge, ovvero ritenuto il riconoscimento di indennita' per  attivita'
extra udienza riconoscibile solo ai viceprocuratori onorari, e non ai
giudici  onorari,  di   rilevare   la   disparita'   di   trattamento
ingiustificata (evidente riferimento ad una  violazione  dell'art.  3
della Costituzione) e di  rimettere  pertanto  gli  atti  alla  Corte
costituzionale. 
    Si e' costituita l'Avvocatura di Stato la quale, 
        ha denegato ogni possibilita' di interpretazione analogica  o
evolutiva o adeguatrice nella norma in questione, di  conseguenza  la
sussistenza di ogni diritto  a  maggior  compenso  sulla  base  della
normativa attuale; 
        peraltro  ha  sostenuto  -  in  principio  -   la   manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata  per  non
avere l'indennita'  dei  magistrati  onorari  carattere  retributivo,
deducendo da cio' la non  necessita'  della  equiparazione  col  ramo
requirente della magistratura onoraria; 
        infine  ha  dedotto   l'irrilevanza   della   questione   per
l'impossibile   incremento   della   indennita'   gia'    corrisposta
all'attrice. 
    Nella trattazione della causa: 
        riservato ogni provvedimento sono stati concessi alle parti i
termini di cui all'art. 183, comma 6 del codice di procedura  civile,
per il pieno svolgimento delle difese; 
        si e' rilevato che, tra gli argomenti svolti dalla Avvocatura
ve ne e' uno che pone in discussione la rilevanza della questione  di
costituzionalita', posta dall'attrice, sul tema di cui  si  e'  sopra
detto; 
        viene infatti eccepito che l'attrice avrebbe indicato «quasi»
sempre nei prospetti mensili per  la  liquidazione,  di  aver  tenuto
udienze di oltre cinque ore,  in  tutti  i  gironi  lavorativi  della
settimana; dal che  una  obiettiva  difficolta'  del  rilevare  quale
aumento di indennita' avrebbe comportato la  diversa  interpretazione
prospettata, avendo l'attrice gia' ottenuto il massimo riconoscimento
possibile; 
        si  e'  svolta  su  tale  punto  attivita'  istruttoria,  con
richiesta di una relazione al  presidente  della  sezione  presso  la
quale il GOP svolge la propria opera (213  del  codice  di  procedura
civile); 
        in particolare e' stato richiesto, al presidente suddetto, di
verificare  se,  nell'ipotesi  astratta  di  fondatezza  della   tesi
attorea, vi sarebbe stato  margine  per  una  ulteriore  liquidazione
indennitaria al GOP attore; 
        e' pervenuta  articolata  risposta  a  firma  del  presidente
Braccialini con accluso schema di cancelleria. 
    Dalla risposta suddetta sono derivate  le  seguenti  evidenze  di
causa: 
        si conferma l'esistenza di una notevole mole di lavoro «fuori
udienza» svolta dal giudice, in questa sede attore, si  individua  un
attendibile criterio di stima di tale tempo di lavoro individuato  in
1/3 di quello dedicato  alle  udienze,  si  individua  una  serie  di
udienze, dettagliatamente indicate dalla cancelleria,  per  le  quali
alla cancelleria risulta: 
          1) un tempo di lavoro inferiore alle cinque ore,  e  quindi
un margine di incremento possibile alla indennita' riconosciuta; 
          2) contemporaneamente un tempo di lavoro superiore alle tre
ore e 20 minuti, ovvero un tempo che, rappresenta i 2/3 delle  cinque
ore e che quindi, presumibilmente, e sulla base di presunzioni dotate
anche di un significativo riferimento normativo, incrementato  di  un
ulteriore  terzo,  ovvero  della   sua   meta'   (tempo   di   lavoro
extra-udienza) supererebbe anche le cinque ore, comportando la doppia
indennita'. 
    Su tale evidenza istruttoria parte attrice ha insistito  in  ogni
istanza, compresa la  sollecitazione  a  sollevare  la  questione  di
costituzionalita', il convenuto Ministero, a mezzo della  Avvocatura,
ha mantenuto la  dispiegata  resistenza,  con  il  che  e'  risultato
necessario esaminare la sollevata questione di costituzionalita'. 
    Il quadro normativa di interesse e' il seguente: 
        l'art. 3-bis, comma 1, lettera a) del decreto-legge 2 ottobre
2008, n. 151, convertito dalla legge n. 186  del  28  novembre  2008,
norma di cui e' richiesto in primo luogo l'applicazione  analogica  e
di cui, in seconda istanza, e' denunciata l'incostituzionalita',  ha,
in realta' modificato, l'art. 4 del decreto legislativo del 28 luglio
1989, n. 273 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre  1988,  n.  449,
recante norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo
processo penale ed a quello a carico degli  imputati  minorenni).  Ed
Gazzetta Ufficiale 5 agosto 1989, n. 182. 
    Il quale e' quindi l'effettivo oggetto dalla introdotta modifica,
ha il seguente testo: 
    «1. Ai giudici onorari di tribunale spetta un'indennita' di  euro
98 per le attivita' di udienza svolte nello stesso giorno (1). 
    1-bis.  Ai  giudici  onorari  di  tribunale  spetta  un'ulteriore
indennita' di euro 98 ove il complessivo impegno  lavorativo  per  le
attivita' di cui al comma 1 superi le cinque ore (2). 
    2. Ai viceprocuratori onorari spetta un'indennita' giornaliera di
euro 98 per l'espletamento delle seguenti attivita', anche se  svolte
cumulativamente: 
        a) partecipazione ad una o piu'  udienze  in  relazione  alle
quali e' conferita la delega; 
        b) ogni altra  attivita',  diversa  da  quella  di  cui  alla
lettera a), delegabile a norma delle vigenti  disposizioni  di  legge
(3). 
    2-bis. Ai viceprocuratori onorari spetta un'ulteriore  indennita'
di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo  necessario  per  lo
svolgimento di una o piu' attivita' di  cui  al  comma  2  superi  le
cinque ore giornaliere (4). 
    2-ter. Ai fini dell'applicazione dei  commi  1-bis  e  2-bis,  la
durata delle udienze e' rilevata dai rispettivi verbali e  la  durata
della permanenza in affido per l'espletamento delle attivita' di  cui
al comma lettera b), e' rilevata dal procuratore della Repubblica. 
    3. L'ammontare delle indennita' previste dai commi  1  e  2  puo'
essere adeguato ogni tre anni, con decreto emanato  dal  Ministro  di
grazia e giustizia  di  concerto  con  il  Ministro  del  tesoro,  in
relazione alla  variazione,  accertata  dall'ISTAT,  dell'indice  dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi
nel triennio precedente. 
    4. La pesa relativa gravera' sul capitolo 1589 del  bilancio  del
Ministero di grazia e giustizia. 
    5. Sono abrogatigli articoli 32, comma 2 e 208 del regio  decreto
30 gennaio 1941, n. 12.». 
    E' evidentissimo che la  norma,  nel  suo  complesso,  detta  due
distinti criteri di determinazione  dei  compensi  per  i  magistrati
onorari. 
    I  giudici  onorari  sono  compensati  in  relazione  alla   sola
attivita' di udienza. 
    I viceprocuratori onorari sia  in  relazione  alla  attivita'  di
udienza che in relazione ad altre attivita' svolte fuori udienza. 
    La disciplina in esame  e'  destinata  ad  esser  superata  dalla
recente riforma della magistratura onoraria,  gia'  approvata  ed  in
corso di applicazione. Nondimeno la norma, oltre a conservare tuttora
vigore temporaneo,  per  la  sospensione  sul  punto  della  riforma,
certamente conserva valore per i fatti di causa, relativi interamente
al passato. 
    La distinzione esaminata e' chiaramente  voluta  dal  legislatore
storico ed e' espressa in  una  forma  del  tutto  incompatibile  con
qualsiasi interpretazione adeguatrice. 
    In  tal  senso  ha  opinato  la  stessa   Avvocatura   di   Stato
(opponendosi all'accoglimento diretto delle istanze attoree)  e,  sul
punto, non si puo' che concordare, con sostanziale rinvio  recettizio
alle difese in funto di divieto di interpretazione in claris. 
    La norma in esame  non  ha  solo  un  contenuto  «costitutivo  di
diritto» in favore dei viceprocuratori onorari. Letta  «in  negativo»
essa ha anche un significato limitativo, contenitivo di  una  opzione
che pur esprime, nei confronti dei giudici  onorari.  E'  infatti  un
dato innegabile, secondo buona fede intellettuale, che sia il giudice
che il pubblico ministero operino sia: in udienza che fuori  udienza.
Si potrebbe discutere sul  relativo  peso  delle  due  attivita'  (in
entrambi i casi due  attivita'  giudiziarie  primarie,  la  direzione
delle indagini  per  il  pubblico  ministero  e  la  redazione  delle
sentenze per i giudici, avvengono essenzialmente fuori  udienza),  ma
la  questione  quantificatoria  non  rimuove  l'assunto,  non  giunge
sicuramente alla  individuazione  di  una  discriminante  di  rilievo
considerabile normativamente. E' quindi evidente la  possibilita'  di
una «realta' normativa alternativa» in cui  anche  l'attivita'  extra
udienza del giudice onorario sia riconosciuta  a  fini  indennitaria.
Tale  realta'  normativa  alternativa  e'  facilmente   individuabile
secondo i canoni ordinari utilizzabili  per  le  pronunce  addittive.
L'equiparazione sarebbe possibile con  la  semplice  duplicazione  di
quanto previsto per i VPO e con la sostituzione  del  riferimento  al
procuratore capo, con quello al  presidente  del  tribunale  o  della
corte di appello (che ora dispone di giudici onorari). 
    E' quindi confermato che la norma in esame pone un limite  chiaro
ad  una  chiara  possibilita'  (teorica)  dell'attrice   di   vedersi
riconosciuta una maggior indennita' per l'opera svolta  come  giudice
onorario. 
    Prima di analizzare se tale limite mostri  effettivamente  indizi
di contrasto con la Costituzione, e' tuttavia  necessario  verificare
se esso sia rilevante. 
    La questione posta e' rilevante. 
    Nella parte della presente ordinanza relativa alla  ricostruzione
dell'evoluzione  del  processo  ad  oggi,  si  e'  gia'  indicato  il
passaggio istruttorio compiuto. 
    La  tesi  dell'Avvocatura  di  Stato  era  che,  nella  sostanza,
l'attrice avesse gia' svolto una intensissima  attivita'  di  udienza
raggiugendo la doppia indennita'  per  quasi  tutti  i  giorni  della
settimana. Si sarebbe cosi' realizzata una condizione di  «indennita'
non espandibile»,  sicche'  la  questione  posta,  in  concreto,  non
avrebbe avuto alcun margine di possibile accoglimento. 
    Come gia' detto la prospettiva suddetta e' stata dissipata  dalla
relazione inoltrata  dal  presidente  della  sezione  alla  quale  il
magistrato onorario e'  assegnato  e  dalla  integrata  relazione  di
cancelleria, documenti che evidenziano come esisterebbero margini  di
espansione  della  indennita'  riconosciuta  al  GOT,  ove   al   suo
trattamento fosse applicata la  medesima  disciplina  vigente  per  i
viceprocuratori. 
    Si deve solo notare, in proposito, che il fatto che il margine di
rilevanza individuato dal presidente di  sezione  sia  differente  da
quello ipotizzato dall'attrice medesima non puo' aver  alcun  rilievo
che non sia del tutto capzioso ed  assolutamente  marginale.  Infatti
l'attrice ha chiaramente richiesto una  liquidazione  dell'indennita'
per la propria attivita', sulla medesima base dei criteri fissati per
i viceprocuratori. Questa e' «la domanda» il resto e'  una  «proposta
di quantificazione», che, nel caso di certa sussistenza  del  diritto
ed incerta  quantificazione,  potrebbe  persino  formare  oggetto  di
liquidazione equitativa da parte del giudice. 
    Si conferma quindi la rilevanza della questione posta. 
    La questione non e' manifestamente infondata. 
    La questione e'  posta  dalla  ricorrente  in  termini  piuttosto
semplici, con un unico  rilievo  relativo  alla  supposta  violazione
dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della sussistenza  di
una discriminazione e del suo carattere irragionevole. In effetti non
si puo' negare che la  norma  in  esame  consideri  diversamente  due
condizioni  in  tutto  analoghe.  Due  magistrati  onorari   svolgono
attivita' analoga, poniamo in relazione alla medesima udienza,  l'uno
con funzione requirente, l'altro con funzione giudicante. Se  per  il
medesimo caso trattato in udienza entrambi hanno studiato  gli  atti,
ed uno di essi ha redatto il capo di imputazione  (fuori  udienza)  e
formulato istruzioni standard alla PG, sempre fuori  udienza,  mentre
l'altro ha esaminato il fascicolo dibattimentale, fatto  una  ricerca
di giurisprudenza  e  redatto  la  sentenza,  le  suddette  attivita'
contribuiscono  alla  formazione  della  indennita'   solo   per   il
viceprocuratore  onorario  e  non  per  il   giudice   onorario.   La
discriminazione  pare  sussistere.  Non  l'esempio  fatto   non   sia
rappresentativo, posto che fa perno sull'attivita'  relativa  ad  una
specifica udienza. Si  e'  infatti  gia'  visto  come,  per  ambo  le
categorie di magistrati, lo svolgimento di attivita' non  in  udienza
sia rilevante (nel caso di specie ordinanze di vendita redatte  fuori
udienza, nomina e liquidazione di custodi e stimatori,  provvedimenti
resi inaudita altera parte etc.) ed in generale  quella  dei  giudici
onorari  comprenda  l'atto  giurisdizionale  per   eccellenza   della
redazione della sentenza e non escluda neppure l'attivita' che si sta
compiendo, ovvero l'avvio del  vaglio  di  costituzionalita'  di  una
legge, attivita' frequentemente svolta di giudici di  pace).  La  non
considerazione  dell'attivita'  svolta  fuori  udienza  resta  quindi
discriminatoria anche fuori dall'esempio della singola udienza  e  su
realta' per cosi' dire «aggregata».  Neppure  si  puo'  dire  che  la
celebrazione di un maggior numero di udienze  da  parte  dei  giudici
onorari e la loro relativa facolta' di  fissare  le  stesse  in  date
prescelte,  redano  il  numero   di   udienze   un   parametro   piu'
soddisfacente, sotto  il  profilo  quantificatorio,  per  il  giudice
onorario di quanto non lo  siano  per  il  viceprocuratore.  E'  vero
infatti che il numero di udienze complessivamente tenute dai  giudici
onorari puo' teoricamente esser maggiore del  numero  di  quelle  cui
partecipano i viceprocuratori, a causa del fatto  che  non  tutte  le
udienze implicano la partecipazione del  pubblico  ministero,  ed  in
particolare non  la  implicano  le  udienze  civili.  Per  contro  e'
tuttavia  vero  che  quanto   sopra   e'   gia'   considerato   nella
distribuzione organica dei posti, e, soprattutto  e'  notorio  che  i
viceprocuratori  partecipano  a  numerosissime  udienze   tenute   da
magistrati togati. Ancora una volta  non  pare  si  possa  negare  in
nessun modo che la discriminazione sussista. 
    A fronte di quanto sopra parte l'Avvocatura di  Stato  muove  una
ulteriore obiezione. 
    Anche ove la discriminazione sussistesse non rileverebbe sotto il
profilo  di  una  violazione  del  dettato  costituzionale.   Infatti
l'indennita'  liquidata  ai  giudici  onorari  non   avrebbe   natura
«retributiva»,  ne  conseguirebbe  la  inapplicabilita'  al   settore
dell'art.  36  della  Costituzione.  Tale   norma   sarebbe   l'unica
disposizione costituzionale in grado di obbligare  a  riconoscere  un
trattamento  economico  equivalente  a  fronte  di  una   prestazione
lavorativa  equivalente.  Tale  necessita'   costituzionale   sarebbe
inscindibilmente  collegata  alla  «considerazione  egualitaria   del
lavoro di pari consistenza, importanza, livello  e  responsabilita'».
Fuori da tale ambito non sussisterebbe necessita'  costituzionale  di
adeguamento  verso  l'altro,  o  verso  il  basso,  delle  norme   di
fissazione  di  un   riconoscimento   economico   dell'attivita',   e
particolarmente non sussisterebbe in ordine alla  attivita'  onorarie
per le quali le indennita', stante il loro valore  di  riconoscimento
simbolico, potrebbero essere fissate con ogni liberta'. 
    La tesi non pare  fondata.  La  portata  specifica  dell'art.  36
consiste in una applicazione del principio di  eguaglianza  destinato
ad operare fuori dalla consueta funzione di «canone super-normativo»,
per farne invece un'applicazione immediatamente vigente e restrittiva
della autonomia contrattuale, sia individuale che collettiva.  Quanto
sopra  tuttavia  non  significa  che   un   trattamento   costituente
certamente un «bene della vita», quale una indennita',  possa  essere
assegnato dal legislatore, in presenza di  presupposti  identici,  in
modo  indifferente  a  tale  identita'  e  di  fatto   difforme.   La
discriminazione appare nel caso compiuta direttamente da una norma la
quale  pare  entrare  in  conflitto  diretto  con  l'art.   3   della
Costituzione, senza necessita' di  transitare  per  il  medio  logico
dell'art. 36  della  Costituzione,  solo  perche'  la  rivendicazione
«appare lavoristica». 
    Al profilo direttamente rilevato  dalla  parte,  e  ritenuto  non
manifestamente infondato, pare potersi  aggiungere,  ex  officio,  un
ulteriore profilo come certamente possibile nel sistema del sindacato
diffuso. 
    Nell'attribuzione di una indennita' economica, per  una  funzione
pubblica  onoraria,  intrinsecamente  volontaria,  e'  implicita  una
funzione di incoraggiamento all'esercizio, di  compensazione  per  il
disagio  e  di   valorizzazione   del   contributo   ricevuto.   Ora,
sinteticamente considerati tali elementi sottendono una  «complessiva
considerazione  della  importanza  della  funzione  svolta»  connessa
all'indennita'. Orbene,  considerato  che  sia  giudici  onorari  che
viceprocuratori onorari svolgono le funzioni giudicante e  requirente
al medesimo livello (generalmente primo  grado,  escluse  determinate
materie,  con  funzione  essenzialmente  sostitutiva  del  magistrato
ordinario), considerato che nelle medesime  condizioni  a  magistrati
ordinari   requirenti   e   giudicanti   e'   riconosciuta   identica
retribuzione, la norma, di  evidente  favore  per  la  posizione  dei
viceprocuratori,  pone  un  problema  di  vulnerazione   della   pari
considerazione dei magistrati a parita' di funzioni (art. 107,  comma
3 della Costituzione). Infatti non pare che in alcun modo la funzione
requirente, solta ad un determinato livello, possa essere considerata
in  modo  deteriore  rispetto  alla  funzione  giudicante  svolta  al
medesimo livello. Al massimo parrebbe ammissibile la  discriminazione
contraria, ma non certo una che privilegi la cooperazione  all'accusa
sull'esercizio del giudizio. 
    Ancora ci  si  domanda,  sotto  altro  aspetto  se  la  norma  in
questione sia compatibile con il portato dell'art. 97, comma 1  della
Costituzione  nella  misura  in  cui  evidentemente   incoraggia   il
sistematico trasferimento dei  magistrati  onorari  in  servizio  dai
posti giudicanti a quelle requirenti. 
    Rilevati quindi tre profili di potenziale conflitto  della  norma
sopra  indicata  con  la  Carta  costituzionale,  profili  che  tutti
appaiono  non  manifestamente  infondati,  ritenuta   imprescindibile
l'applicazione  al  caso  della  norma  in  discussione,  esclusa  la
possibilita'  di  un'interpretazione  adeguatrice,  non   resta   che
procedere come da dispositivo.